Chi è e cosa fa il coach?
Il termine inglese coach viene associato da tutti, quasi immediatamente, al mondo dello sport. La parola coach diffusamente evoca la figura dell’allenatore, colui che allena l’allievo al fine di raggiungere un obiettivo prefissato in una determinata disciplina sportiva. Ma coach significa anche carrozza o vettura richiamando – qui la cosa interessante – il concetto di viaggio, di percorso e, ancor di più, di accompagnamento, di guida in questo percorso. Partendo da questo significato comprenderemo più facilmente cosa intendiamo realmente per coach e per coaching. L’International Coach Federation (ICF) così si esprime: «Il coaching professionale è un rapporto di partnership che si stabilisce tra coach e cliente con lo scopo di aiutare quest’ultimo ad ottenere risultati ottimali in ambito sia lavorativo che personale. Grazie all’attività svolta dal coach, i clienti sono in grado di apprendere ed elaborare le tecniche e le strategie di azione che permetteranno loro di migliorare sia le performance che la qualità della propria vita.» Il coaching è, pertanto, un processo di sviluppo personale che si svolge all’interno di una relazione facilitante, basata sull’impegno e sulla fiducia, tra il coach e il cliente, detto coachee, nella quale tra i due viene stipulato, diremo, un patto di alleanza, una collaborazione reciproca per raggiungere un obiettivo. Tale processo mira ad accompagnare il coachee, durante il suo percorso di crescita, affinché possa individuare prima – e sviluppare poi – il suo potenziale personale, condurlo verso la ricerca della conoscenza di sé, della consapevolezza, della capacità di scelta autonoma e responsabile, della fiducia in se stesso per il raggiungimento del proprio benessere e della propria autorealizzazione personale. Presupposto essenziale è comprendere che ogni individuo possiede delle potenzialità latenti. La riscoperta e la valorizzazione delle potenzialità personali, il superamento delle “interferenze” ovvero delle barriere che si interpongono al raggiungimento delle performances, l’apprendimento di tecniche e le strategie di azione efficaci rappresentano l’essenza stessa del coaching. Ma chi è il coach? Iniziamo a dire chi non è. Il coach non è uno psicologo che fa terapia, non è un insegnante che divulga conoscenza, non è colui che fornisce soluzioni preconfezionate o ricette della felicità. Il coach non giudica, non decide, non fa pressioni, non dà consigli, non ti dice cosa è giusto o sbagliato. Il coach è un facilitatore di processo e non di contenuto, una guida, che interviene in maniera “neutra” in una relazione: facilita il coachee nell’espressione del suo potenziale interiore, nella scoperta autonoma delle “sue” soluzioni e verità…..facendo domande. Quelle tipologie di domande che a volte inaspettatamente fanno pensare in maniera totalmente diversa, da un’altra angolatura, le cui risposte, una volta raggiunta la consapevolezza, aprono, come si vuol dire, un mondo nuovo. Il coach, dunque, con le sue strategie d’azione, con la sua capacità d’ascolto attivo ed empatico, con la sua esperienza esplora, “sfida” i modelli mentali del coachee per aiutarlo a sviluppare un nuovo sguardo sul mondo, a generare nuovi pensieri e quindi nuove azioni. Cambiando le azioni si sperimenta un nuovo stile di vita. Attenzione però che la soluzione è sempre e solo del coachee. Il coach non dà risposte e non dà soluzioni. È il coachee a capire e “sapere” cosa fare della sua vita e nella sua vita. Il coach è la migliore chance per diventare la migliore versione di se stessi.
Il coach, il dialogo e la maieutica socratica
Le origini del coaching possono ritrovarsi già nella filosofia greca, ad Atene, nella figura del filosofo Socrate, che con l’arte del dialogo e della maieutica e con il suo famoso “conosci te stesso” ricorda la figura di una possibile guida in grado di favorire nell’interlocutore l’apprendimento e la conoscenza – a partire da quella di noi stessi – e, attraverso un’indagine introspettiva, trovare le soluzioni, che “abitano” già dentro di noi. L’antico motto “conosci te stesso” (gnósis se/autón) è una straordinaria spinta per gli interlocutori a liberarsi dai pregiudizi e dalle false credenze che finiscono per inquinare il loro pensare e il loro agire. Socrate, come un coach, non aveva l’aria di istruire gli altri ma al contrario dava l’impressione di voler lui stesso imparare da quelli con cui parlava. Non si occupò mai di insegnamento. Lui dialogava, poneva domande efficaci, fingendo di non sapere nulla e senza dare nessuna risposta. Durante il dialogo, però, attraverso la riflessione condivisa con l’interlocutore, spingeva l’altro a rendersi conto dei punti deboli del proprio modo di pensare, instillava il dubbio, obbligava a fare nuove riflessioni, assurgendo alla Verità. Socrate, infatti, affermava in riferimento ai suoi allievi: “…. è chiaro che da me non hanno mai appreso nulla, ma che essi, da sé, molte e belle cose hanno trovato e generato.” (Platone, Teeteto). Gli allievi, dunque, con l’aiuto del loro Maestro, “partoriscono” le loro verità. Strumento essenziale del dialogo socratico è la maieutica, l’“arte della levatrice, del far partorire”. Socrate paragona la sua attività a quella dell’ostetrica: non è la levatrice che partorisce il bambino, lei è solo presente e aiuta la madre nel parto… aiuta il corpo. Analogamente Socrate aiuta gli esseri umani a partorire il “giusto sapere”. Aiuta, in ultima analisi, l’Anima. E dal momento che la vera conoscenza viene da dentro, lui si assume l’incarico di aiutare l’interlocutore a “portare alla luce” le loro conoscenze, le loro Verità. La maieutica, quindi, non è l’arte di insegnare ma l’arte di aiutare. Socrate arriva, dunque, alla conclusione che la verità non è insegnabile perché è un sapere dell’anima; quindi sarà inutile inculcare delle idee personali, ma bisognerà far scavare l’individuo nel proprio animo. Ciò che Socrate ha fatto 2500 anni fa è stato inaugurare un metodo rivoluzionario di indagine, che non vuole rendere gli individui dotti bensì critici e consapevoli, un metodo che ha rivoluzionato il modo di pensare e di apprendere nella cultura occidentale. Alla luce di quanto detto è evidente l’accostamento della figura di Socrate a quella di un coach professionista: accompagnare il coachee nel suo viaggio di scoperta, stimolarlo con domande efficaci, prendere contatto con il “problema” in maniera distaccata, mantenendo sempre il controllo sul processo, la lucidità di metodo e una visione prospettica. Ascoltarlo con mente e cuore aperti, “guidarlo”, infine, alla ricerca della sua Verità.
Destinatari
Il coaching può essere rivolto a tutte le persone che vogliono vivere con maggiore soddisfazione la propria vita e raggiungere obiettivi significativi. In relazione all’ambito di pertinenza si parla di Business Coaching, Life Coaching, Parent coaching, Executive Coaching, Sport coaching, Safety Coaching a seconda dei destinatari di riferimento che desiderano migliorare le proprie performances ed autorealizzarsi. Fil rouge è far emergere le potenzialità nascoste, accrescerle, superare le barriere che ci dividono dai nostri obiettivi e tagliare il traguardo…. sia esso quello di riuscire a vivere una vita piena ed autentica oppure quello di migliorare le nostre prestazioni nel lavoro. In ogni caso lo scopo ultimo è lo stesso: migliorare le performances e la qualità della vita del coachee. Usando una definizione calzante di un grande pedagogista dell’Università di Harvard, Timothy Gallwey, nonché uno dei padri del coaching,
POTENZIALE – INTERFERENZE = PERFORMANCE
racchiudiamo l’essenza del coaching ovvero liberando il potenziale che è già dentro di noi ed eliminando/riducendo le barriere che ci ostacolano al raggiungimento dei nostri intenti riusciremo a massimizzare le nostre performances in ogni ambito della nostra vita.